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Pierina, già mezzo nuda e sbuffante di caldo, si allungava come un baco da seta, spolverando i mobili più alti: non sembrava molto entusiasta dei progetti romantici della padrona, pure credendosi in dovere di dar gridi di gioia e riconoscenza. Avrebbe certo preferito star sola, come lo scorso anno, nell’appartamento; in lotta, sì, con la sorveglianza del signor Francesco, ma spesso anche padrona di scorrazzare su per le scale, dove passavano i garzoni con le provviste per gli inquilini, il materassaio galante, lo stagnaio con la sua cassetta inquietante e le mani più infuocate e svelte dei suoi strumenti; e sopra tutto gli operai del telefono, che quando erano, su in terrazza, sulle antenne simili ad alberi di cuccagna, ad aggiustare i fili guasti, e parlamentavano coi compagni rimasti giù nel cortile, sembravano a Pierina angeli mascherati da diavoli.

Ma la padrona era ferma nel suo proposito. Andare, fuggire, cambiare aria. E poi cominciava a far caldo sul serio, e certi giorni di scirocco, se pure portavano un odore di mare, costringevano a tenere le finestre chiuse, per il vento afoso e la polvere invadente.

Alla notte, poi, Noemi, sentiva un insolito senso di oppressione; le giunture le scricchiolavano; s’immaginava di essere malata, e certi sogni, — Agar, Franco, Antioco, il signor Fran-