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signora, non avvertisse la sua felice esistenza.

Il nome del sor Checco, è spesso pronunziato sottovoce dalla ragazza: ella ne parla in segreto ai piatti, alla scopa, al pavimento; poi, d’un tratto, si sente un tonfo: è lei che batte lo strofinaccio contro il marmo dell’acquaio, e, nel tumulto, pronunzia forte l’aborrito nome: infine, soddisfatta, prorompe in un canto estemporaneo, dolce e nostalgico come quello di un esiliato.

Ci rivedremo a sera,
ci rivedremo a sera,
come quel dì,
come quel dì,
Le fave e la gruiera,
il campo dell’amor...
oh, ah, ooh, aah...

Ella ha finito: tace: entra nella sua cameretta, dove sopra il letto, fin dalla mattina per tempo, sono preparate le sue cose più raffinate; combinazione di mussola rosa, calze di seta, scarpine gialle a buchi e trafori; vestito lungo di seta verde artificiale, berrettino dello stesso colore: e nastri, collane, orecchini, cipria, profumo, rossetto: un vero corredo per abbigliamento da cocottina.

Quando ella si presentò, al completo, per salutare la signora, questa ne rimase abbagliata: