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labbra, per accentuarne l’espressione amara e triste di fanciulla disillusa ma rassegnata al suo destino. È questo senso di rassegnazione quasi fatale, mite, profondo, questo piegarsi non freddo, anzi appassionato, pur senza speranza, al vento che la scuote come una canna in riva al fiume, questo suo sguardo liquido, sfuggente, smarrito, pieno di ansia come quello di una cerbiatta inseguita, che mi turbano più che le forme del suo giovane corpo: c’è anzi una linea di pudore, di raccoglimento, adesso, nella sua persona agile e morbida; e tutto mi piace in lei, come se ella completi e compendi questo incanto panico della primavera campestre che penetra i miei sensi.

Io non dovrei scriverti queste cose, Noemi, e forse le scrivo più per me stesso che per te, come il poeta che dà sfogo alla sua passione carnale con la parola scritta: e non so neppure se ti manderò queste ultime pagine; poiché sento di essere giunto alla fine della prima parte del mio dramma. Se Agar mi darà nuovamente convegno, andrò: ho bisogno di sentire il segreto ch’ella voleva confidarmi, vuoto o tragico che sia: ho bisogno di riavvicinarmi alla vita, di sentire nuovamente il calore nel calore delle labbra, del viso, del corpo di lei. Avvenga quel che vuole avvenire. In fondo, se io sono pur debole e sensuale, sono anche sano; il mio rimorso, la sete