Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/136


— 126 —

ritornare in città e rimettermi a lavorare. A Roma potrei anche sollecitare personalmente la pratica, presso il Ministero, e uscire da questa gora che piano piano cresce e tenta di soffocarmi. Cresce, oggi, dopo qualche ora di pioggia diluviale, anche la fiumana: l’acqua vien giù torbida, inquietante, anzi minacciosa: la sua voce grossa mi pare quella di una madre energica quando rimbrotta il figlio fannullone e infingardo.

Ha già invaso un po’ del campo di Paolone, l’acqua melmosa; arriva fin quasi alla nostra casupola; ed io ne profitto per predicare al mio vecchio testardo padrone:

— Vedete? Vedete bene che...

Egli interrompe, quasi soddisfatto:

— Lasci fare: è tanta abbondanza.

Ma la pioggia riprende a cadere; non ho mai veduto l’eguale: è un velo fitto, una stoffa grigia; soffi impetuosi di vento la sollevano, e allora pare un fumo, denso, un rifarsi di nuvole.

Tutta la giornata è stato un diluvio: si placa solo al cadere della notte; la luna si affaccia fra enormi rocce di nubi, e pare guardi con curiosità le onde grosse e lanose della corrente infuriata. L’acqua circonda la nostra casa, batte ai muri delle doppie fondamenta, e pare un lupo affamato. Anche Paolone, e sopra tutto la