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voce vana eppure misteriosa dello spazio, che solo può gareggiare con l’incantesimo dell’arcobaleno.

Già tutto preso da una più profonda curiosità domando:

— In che senso si burla del parroco, questa servotta?

— Ah, no, — protesta il vecchio, — non è una serva. È una vera signorina. È stata educata in convento, in quello lassù, delle nostre suore. — In queste parole del vecchio è una nuova trafitta al mio male e il sangue mi si agita nelle vene, come la catena del condannato quando egli tenta di sollevarsi e poi ricade sul suo giaciglio poiché nel convento, lassù, in cima alla strada, dove due torrenti s’incrociano e, fra i macigni combattono, a volte, come tigri infuriate, e poi si placano, anzi si affratellano in una sola corrente, là è stata educata anche lei; e forse fu amica e compagna di Agar.

— In che senso? — riprende il mio vecchio amico. — Nel senso che, di giorno, dicono, oh, io non ci metto nulla del mio, la signorina Agar fa la santarella: lavora, pulisce, cucina, va nell’orto a cogliere l’insalata: insomma fa tutti gli affarini di casa, e neppure si affaccia alla finestra: di notte poi, quando quel santone del prevosto dorme, lei fa il comodo suo.

— Sì, — dico io, già vinto da una strana