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te il rosso dell’aurora si accendeva rapidamente.
L’erba era carica di rugiada come se avesse piovuto; ed anche le pecore, nelle mandrie circolari che ribollivano di loro, ne erano umide; la rugiada stessa aveva profumo di latte, e tutto intorno fino in lontananza si spandeva l’odore dello stabbio: odore di vita animale, di produzione e di abbondanza come se tutto il mondo fosse un solo ovile.
Ulpiano Melis si sentiva padrone, in questo mondo, e mungeva le pecore e le capre con un senso di divinità: gli pareva d’esser lui a produrre il latte, che le sue dita simili alle radici del rovere facevano stillare dalle mammelle violacee delle bestie; lui che era più sollecito del sole, e, vecchio, lavorava ancora, mentre molti giovani giacevano come Luca abbattuti dal turbine delle loro male passioni.
Con una spinta fra dolce e violenta mandava via di fra le gambe la pecora un po’ stordita, ne afferrava un’altra, e il contatto del vello ancora intonso gli dava quasi un senso di voluttà, come afferrasse capelli di donna.
Con la coda dell’occhio guardava in-