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Vide il vecchio che lo osservava sorpreso, e anche lui lo guardò con stupore.

— Zio Ulpiano, siete stato malato?

— Malato sono stato, sì.

La sua voce era tremula, infatti, come quella di un convalescente. Luca sbadigliava fino a tenersi le guancie ferme con la mano: pareva non ricordasse nulla del passato e non avesse coscienza del suo stato presente. Solo, dopo qualche momento, disse, un po’ timido:

— Ho fame.

Il vecchio gli porse la tazza di corno piena di latte: egli la prese e guardò, osservandoli per la prima volta, i disegni primitivi che vi erano incisi: la colomba, la palma, la croce, il cacciatore col corno: poi fissò il latte con nausea.

Di ben altri cibi sentiva il bisogno: di carne sanguinolenta che rifacesse la sua, di pane duro, di formaggio secco e salato, per arrotare i suoi denti, di insalata e di cipolle per rinfrescarsi la gola. Una fame mordente gli attanagliava le viscere vuote: non osava dirlo, ma sbadigliava esasperatamente per dimostrarlo. Come gli animali affamati,