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a tutti che andava a messa. Arrivata vicino alla chiesa rallentò il passo, e giunto il momento in cui nessuno poteva vederla entrò in uno dei due cortili della parrocchia. Era il cortile, diremo così, di servizio, vasto, quadrato, circondato d’alberi nudi che pareva avessero ciascuno il suo specchio perché ai piedi di ogni tronco stagnava una pozzanghera d’acqua piovana che rifletteva l’albero stesso e le nuvole vaganti sul pallido e agitato cielo di marzo.

Il vero cortile d’ingresso della parrocchia era dal lato opposto, e questo serviva solo al tempo della festa del paese, per legarvi i cavalli degli ospiti: sembrava quindi disabitato; ma al suono dei passi di Francesca una porticina in fondo si aprì e vi si affacciò una piccola vecchia curva su un bastone: con gli occhietti quasi bianchi eppure vivacissimi guardò la visitatrice, e non riconoscendola parve mal disposta a lasciarla entrare.

Anche Francesca non l’aveva mai veduta: la conosceva però per fama, e la salutò con rispettosa famigliarità.

— Zia Margherita, come state? Io sono la nipote di Ulpiano Melis.