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disse fra sè; e stette immobile con le tempia pulsanti, come steso su un letto di torture.

I giovinotti finirono di cenare, fecero il caffè, così per un gusto, versandone metà sul fuoco e l’altra metà buttandola; infine se n’andarono ubbriachi e barcollanti.

Basilio li sentì cantare in lontananza, rauchi come tori selvaggi: zio Bakis rimetteva in ordine la cucina, camminando in punta di piedi e spalancando la porta perchè l’aria dissipasse gli odori e i vapori della cena.

L’ora passò: lo sfondo della porta si illuminò d’una luce vitrea; tornarono i figli di zio Bakis e si gettarono sul pavimento addormentandosi d’un sonno brutale, ma Basilio non potè dormire. Sentiva tutte le membra slegate, le giunture dolenti, e il pensiero stanco di fantasticare. Doveva partire e non poteva muoversi. All’alba si assopì e Paska gli tornò vicina, soave e tenera; il piccolo viso splendeva, le labbra calde e rosse si posavano sulle sue con infinita, infinita dolcezza. Era il torpore strano dei meriggi sulla montagna, la luce intensa e la dolcezza snervante del sole, la carezza