Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/78

pieno di erba, un fazzoletto rosso intorno al bel viso la cui pelle scura fa brillare più vivi gli occhi turchini e i denti bianchissimi: questi denti, però, e questi occhi, hanno qualche cosa di felino, di crudele.

Le domando a cenni e come meglio posso se il terreno attiguo è "Il Platano": la ragazza si ritrae un po’ spaventata e diffidente, forse credendomi un sordomuto finto e vagabondo.

Allora deposi il cestino per terra, non curandomi della curiosità delle anatre che subito mi circondarono; e trassi di tasca il taccuino di cui mi servivo spesso, ripetendo la domanda in iscritto e dicendo chi ero. Staccai il foglietto e lo porsi alla ragazza; ella parve ricordarsi: certo aveva sentito parlare di me; mi guardò meglio, arrossì e rise.

I suoi denti stretti nel ridere, parevano un anello d’avorio: mi restituì il foglietto e con la mano fece atto di falciare, poi, per essere più espressiva, con ambe le mani di battere la scure. Io intendevo fin troppo: il platano era stato tagliato.

“Da chi e quando è stato tagliato?”.

Questa volta porsi l’intero taccuino alla ragazza, col lapis attaccato.

“Credo per ordine di vostro padre, da anni” ella