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Quel colloquio mi faceva più male di quello col nano. Cominciai a umiliarmi, a irritarmi. E sopratutto m’irritava la zia: perché s’immischiava nei fatti miei? Perché si opponeva alla vendita del terreno? E perché non mi domandava neppure la ragione per la quale avevo preso i danari dall’usuraio e come li avevo sciupati?

Sapeva tutto, o non voleva saper niente? Perché voleva proteggermi? No, io non volevo la sua protezione: ch’ella mi desse da mangiare e da dormire, ma non pensasse ad altro.

Per sfogare tutto il mio malanimo pensai di farle sapere subito ogni cosa.

Le feci dunque sapere che avevo deciso di cedere la mia creatura ai Tobia: ecco perché volevo loro cedere, che la tenessero o la vendessero, anche la mia miserabile proprietà. Poi mi rivolsi all’uomo e gli domandai se non era vero ch’egli acconsentiva a prendere la mia creatura.

Ed egli parve ricordarsi di qualche cosa che aveva dimenticato: qualche cosa di buono, di bello,