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Parlò, ma brevemente. Oramai capivo quel che diceva: stavo a guardare come l’altra volta, come si trattasse di cosa non mia.

Ed era forse mio, il terreno? No, non era più mio. La zia lo difendeva, l’altro lo voleva, o, per essere più giusti, voleva i suoi denari, nonostante ciò che s’era stabilito con la moglie a proposito dell’adozione della mia creatura.

Voleva i suoi denari perché infine erano suoi, e poiché se ne presentava l’occasione.

E l’occasione era questa: che realmente qualcuno, sapendo dell’ipoteca che egli aveva preso sul mio terreno, s’era rivolto a lui per la mediazione. L’offerta era superiore al valore del terreno: perché non accettarla?

Messo al Corrente di tutto, io scrissi queste parole al mio creditore:

“Perché, giacché vale tanto, non si tiene lei il terreno? A me basta il riavere la cambiale”.

Egli mi guardò fisso, in fondo agli occhi: uno sguardo che mi rimescolò tutto: e mi rispose brevemente:

“Sono un uomo onesto”.