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Fui invitato a colazione. Accettai: accettavo tutto, quel giorno. Il pasto era buono: c’era un grosso pesce dalla polpa lievemente rosea che sembrava carne, e il vecchio me lo additò, poi si toccò il petto, per accennarmi che lo aveva pescato lui: eppure il padrone di casa mi offriva il piatto, ritirandolo un po’ a sé istintivamente, come faceva nel vendere la sua merce: come fosse cosa esclusivamente sua.

Il vecchio non ne mangiò: non mangiava mai pesce. E stava un po’ discosto dalla tavola, come fosse anche lui un invitato, ma un invitato per forza. Infatti mi accorsi, dopo, ch’egli usava mangiare in cucina, quando il tempo cattivo lo costringeva a stare a casa.

Del resto io mi sentivo felice, sollevato di un gran peso all’idea che l’avvenire della mia creatura era assicurato: e mi piaceva, anche, di vendicarmi così di tutti quelli che non avevano voluto né saputo amarmi: di Fiora, della sua famiglia, della zia. Il giorno della vendetta era dunque giunto per me.

E mi vendicavo anche del mio creditore, della sua astuzia e della sua usura: mangiando alla sua tavola il pane del tradimento.