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noi due fossimo complici in qualche impresa oscura e c’intendessimo col solo guardarci: complici d’una cosa che non si poteva esprimere a parole.

E quasi ogni volta che andavo da lei le portavo una lettera e gliela deponevo di nascosto nel paniere da lavoro; e lei non mi rispondeva, ma non leggeva più le mie confidenze davanti a me. Erano lettere innocenti, dove le raccontavo la mia pena, senza rivelargliene la vera causa: mai più in vita mia proverò la gioia e il conforto che mi dava lo scrivere quei fogli, nella melanconica casa della zia; mi pareva di scrivere lettere d’amore e come tali le portavo alla donna, e come tali essa pareva riceverle.

Non si parlava più del debito, del modo di sistemare la mia vita; io mi lasciavo portare così, dall’onda dei giorni, pensando sempre a un domani che mi sfuggiva nel seguente domani appena diventava oggi.

Si era intanto di novembre, cominciava a piovere, a far freddo: acquazzoni furibondi si abbattevano sul paese con una rabbia distruggitrice,