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Mi sentivo capace di chiedere lavoro al primo che incontravo per la strada, e per dimostrare la mia forza fisica pronto a svellere le cancellate di ferro dei giardinetti, e le pietre dei muri.

Ecco il mare in fondo alla strada: mi sembra uno specchio che riflette la luce inquieta dei miei occhi e con essa la mia fede e la mia speranza.

Attraverso le due porte d’angolo della drogheria si vedevano alcune donne davanti al banco servite da un uomo secco, nero, col labbro inferiore della bocca beffarda e dolorosa penzolante.

Era il droghiere in persona. Si chiamava di nome e di cognome Tobia, e doveva aver sangue ebreo nelle vene; stava sempre lui al banco, sebbene fosse ricco: possedeva una fila di case mobiliate che affittava ai bagnanti, e barche da pesca e uno stabilimento balneare dove era sorvegliante il suocero.

Ed ecco la prima persona che, prima d’entrare nella drogheria, vedo nella strada, è appunto questo sorvegliante, antico marinaio; ma più che di marinaio, ha l’aria d’un pescatore, alto, pesante, scalzo, con pantaloni turchini rimboccati sulle gambe possenti e una maglia gialliccia che gli disegna il petto grasso e il ventre prominente.