Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/220


— 210 —

— Racconti, racconti! — supplicò.

— Al mio paese, poi, ho tutta una coorte di adoratori; tutti piccoli mascalzoni, però, ragazzetti discoli, studentelli, il barbiere, il postino, persino un piccolo mercante di pelli di capretto: ma tutti molto giovani, sa, dai sedici ai diciannove anni. Dopo i diciannove anni non li guardo più.

— Prima dei diciannove sì?

— Cioè.... non mi guardano loro! Dopo i diciannove capiscono che.... non c’è nulla da sperare; mettono giudizio, ecco tutto! Ma i ragazzi dai sedici ai diciotto mi seguono come affascinati: per loro io sono colei che viene dalle terre lontane dove tutto è grande e bello. Essi adorano in me il mondo che sognano: Roma, le spiagge di moda, la vita fantastica dei potenti della terra! Io mi compiaccio di questa loro illusione, mentre mia madre, mia sorella e mio cognato mi sgridano scandolezzati, e in tutto il paese godo una terribile fama di civetta. D’altronde io son contenta di questo, perchè non voglio che agli uomini seri del mio paese, ai nobili che vanno ancora con l’aratro, od ai ricchi proprietari di vacche, salti in testa l’idea di volermi sposare. No, signor Giorgio, meglio morire che sposarsi, meglio morire due volte che sposarsi e rimanere tutta la vita nel paese natìo....

Jorgj rideva, piano, piano, con dolcezza: come le parole di lei lo divertivano e lo consolavano!

— Ma qualche volta avrà fatto all’amore!

— E dunque? Perchè negarlo? Il primo è stato un bel ragazzo pallido, verde anzi, sottile come uno stelo; adesso è morto, non parliamone più. Sono stata anche fidanzata: era un piccolo medico condotto di cui avevo sentito parlare come di un portento di ingegno. Venne a casa nostra, una sera: c’era gente ed egli non aprì bocca.