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Per la festa di Sant’Anastasio le famiglie anche le meno abbienti del villaggio, anche quelle che eran cariche di debiti o che avevano i figli agli studî, apparecchiavano la tavola, vi mettevan su mucchi di focacce, taglieri colmi di carne arrostita allo spiedo, formaggio, giuncata, vino e miele, e aprivan la porta a chi voleva entrare a banchettare. Gli ospiti venuti dai paesi vicini, i poveri e i monelli del villaggio accorrevan come mosche: più ne venivan più i padroni erano contenti, non solo, ma nel pomeriggio, mentre le campane suonavano a distesa e pareva annunziassero che nel mondo triste era finalmente cominciato il regno di Dio, intere giovenche e colonne di focacce venivano distribuite a porzioni eguali (perciò la festa si chiamava de su corriolu, da brano, porzione di alcuna cosa) agli ospiti e ai poveri che così portavano a casa, ai vecchi invalidi, agli infermi, alle donne vergognose, la cena e anche il pranzo per l’indomani.

Sennòra Rughitta, la moglie del proprietario Costantino Fadda, teneva molto a questa festa che le permetteva di mostrare al paese