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248 la festa del cristo


vecchio patriarca e pareva il pallido rampollo germogliante ai piedi del tronco secolare.

La notte passò tranquilla e l’indomani mattina prete Filìa disse la messa cantata assieme con altri sacerdoti dei paesi, convenuti alla festa, e col parroco di cui era ospite, bel giovane grasso, celebre in tutto il circondario per le sue prediche, per le sue stregonerie e sopratutto per la sua abilità nello scacciare gli spiriti maligni dal corpo delle persone e delle bestie indemoniate.

L’antica chiesa era gremita di fedeli; donne pallide col ventre gonfio per le febbri di malaria, uomini smilzi in corpetto di scarlatto, le gambe secche e dritte come quelle dei cervi. I nostri pellegrini si notavano quasi per diversità di razza, e le donne, pur pregando immobili col viso austero nell’aureola gialla delle bende inamidate, osservavano con malizia il feticismo delle Baroniesi per il loro grande Cristo che a dire il vero inspirava un certo terrore, così grande e pallido com’era nel chiarore dei ceri, sopra l’antico altare, sotto la tenda che lo nascondeva tutto l’anno, sollevata adesso per la sacra occasione. Alcune vecchie gemevano sommessamente, guardandolo, altre donne baciavano il suolo senza osare di sollevare gli occhi fino a Lui. E tutte pregavano battendosi il petto, mentre fuori nello spiazzo gli uomini meno religiosi si aggruppavano attorno ai venditori di vino e di torroni, e i fanciulli all’ombra delle tettoie di frasche ascoltavano un cantastorie girovago. Dall’estre-