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178 l’uomo nuovo


to consolarsi e rifiorire come intorno a lei e nella valle e sui monti rifiorivano le piante selvatiche dopo il lungo inverno nuorese. Veniva la primavera e le miserie umane pareva si raddolcissero come piaghe su cui una mano pietosa plasma l’unguento che con l’andare del tempo svanisce lasciandole di nuovo spasimare: e Annarosa tornò a sedersi sulla pietra del portone, col fazzoletto sugli occhi, mangiando distrattamente una fava, mentre la madre parlava della «disgrazia» già con rassegnazione, e faceva nuovi progetti per la figlia, e di tanto in tanto andava premurosa a domandare a don Giuseppe se gli occorreva del fuoco, se il mal di testa gli era passato, se voleva che Annarosa gli stirasse le calze. Sì, buone anime mie, speranze ambiziose rallegravano il cuor della madre; Sant’Antonio, mentr’ella recitava i «responsos» nella Chiesa Maggiore, le aveva fatto scorgere un nobile che pregava davanti alla cappella ove si celebrano i matrimoni e accanto gli stava una giovane paesana.

Il dibattimento del Farina era fissato per i primi di luglio; in giugno egli trovò modo di scrivere ad Annarosa ed ella senza esitare, vinta da quel sentimento oscuro che l’attirava lassù al ballatoio come verso un confessionale, salì silenziosa dallo studente. Il colpevole le scriveva con tenerezza, ringraziandola delle buone testimonianze; sperava di tornar presto e renderla felice.

— Lo vedi, sciagurata? Egli ti regalerà i