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ci è di concreto e di compiuto che il suo individuo. Perciò i suoi fantasmi sono piú simili a concetti logici che a cose effettuali, piú a generi e specie che ad individui. Non sono «astrazioni», come le chiamano. Potrebbero vuote astrazioni destare un interesse cosi vivo? Anzi sono fantasmi appassionati, ribollenti, sanguigni: non ci è vacuitá, ci è congestione di un sangue non ingenito e proprio, ma trasfuso e comunicato. Senti nella tragedia la solitudine dell’uomo, che armeggia con se stesso e produce la sua propria sostanza. Non ama ciò che gli è estrinseco, la natura, la localitá, la personalitá, e non l’intende e non la tollera, e la stupra, lasciandovi le sue orme impresse. Il calore di una potentissima individualitá non gli basta a infonder la vita, e resta impotente alla generazione, perché gli manca l’amore, quel sentirsi due e cercar l’altro e obbliarsi in quello. Impotenza per soverchio di attivitá, che gli toglie la facoltá di ricevere le impressioni e riprodurle. L’occhio torbido della passione non guarda intorno, non si assimila gli oggetti esterni. Alfieri è tutto passione, diresti quasi che voglia con un solo impeto mandar fuori il vulcano che gli arde nel petto, non ha la pazienza e il riposo dell’artista, quel divino riso col quale segue in tutti i suoi movimenti la sua creatura. Quel suo furore, del quale si vanta, è il furore di Oreste, che gl’ intorbida l’occhio, si che, investendo il drudo, uccide la madre; e gli fa scambiare i colori, abbozzare le immagini, appuntare i sentimenti, dare al tutto un aspetto teso e nervoso. Indi quella sceneggiatura e quello stile, quel sopprimere gradazioni, chiaroscuri, quel soverchio rilievo, quel dir molto in poco, come si vanta, quella mutilazione e congestione, quell’abbreviazione tumultuosa della vita, quel fondo oscuro e incolore della natura, quelle situazioni strozzate, que’ personaggi in abbozzo, che piú fremono e meno li comprendi. Di che aveva Alfieri un sentore confuso, quando scriveva:


                                    Nulla di quanto l’uom «scienza» chiama
per gli orecchi mai giunto erami al core:
ira, vendetta, libertade, amore
sonava io sol, come chi freme ed ama.