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                                    Ferri, bende, bipenni, ritorte,
pallid’ombre, compagne di morte,
giá vi guardo, ma senza terror.
     

Commovente è la gioia quasi delirante di Aristea nel rivedere l’amato. Di un elegiaco ineffabile è il canto di Timante, quando la madre gli presenta il suo bambino:


                                              Misero pargoletto,
il tuo destin non sai.
Ah; non gli dite mai
qual era il genitor.
     Come in un punto, o Dio,
tutto cambiò d’aspetto!
Voi foste il mio diletto,
voi siete il mio terror.
     


Alcuni motti tenerissimi sono rimasti proverbiali, come:


                                              Ne’ giorni tuoi felici
ricòrdati di me.
     


Questa vita, nei suoi moti alterni di spontaneitá e di riflessione cosi equilibrata, essendo superficiale ed esteriore, ha per suo carattere la chiarezza, è visibile e plastica. Le gradazioni piú fine, i concetti piú diffícili sono resi con una estrema precisione di contorni, e perciò non hanno riverbero : appagano e saziano lo sguardo, lo tengono sulla superficie; non lo gittano nel profondo. Questa chiarezza metastasiana, tanto vantata e cosi popolare, perché il popolo è tutto superficie, è la forma nell’ultimo stadio della sua vita, quando a forza di precisione diviene massiccia e densa come il marmo. La vecchia letteratura vi raggiunge l’ultima perfezione; l’espressione perde ogni trasparenza, e non è che se stessa e sola, e vi si appaga come un infinito. Stato di petrificazione, che oggi dicesi «letteratura popolare», come se la letteratura debba scendere al popolo e non il popolo debba salire a lei. Metastasio vi spiega un talento miracoloso. Quella vecchia forma, prima di morire, manda gli ultimi splendori. La chiarezza non è in lui superficie morta, ma è la vita nella