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xix - la nuova scienza 257


l’assolutismo della societá e l’ubbidienza passiva dell’individuo. Il comunismo è in fondo a tutte queste teorie di monarchia universale e assoluta, di dritto divino; e Campanella va sino in fondo. Il che sempre avviene quando l’unitá è posta fuori dell’umanitá in una volontá a lei estrinseca, e quando l’unitá rimane astratta e tiene non in sé, ma dirimpetto a sé, il vario e il molteplice. In questa unitá va a naufragare ogni particolare: l’individuo, la famiglia, la nazione. Or questa è la filosofia sua, questa è la sua «cittá del sole», la sua rediviva etá dell’oro. Il quadro è vecchio, ma lo spirito è nuovo. Perché Campanella è un riformatore, vuole il papa sovrano, ma vuole che il sovrano sia ragione non solo di nome ma di fatto, perché la ragione governa il mondo. Dio è il senno eterno: il sovrano dee essere anche lui il sapientissimo di tutti. Non è re chi regge, ma chi piú sa. Il vero sovrano è la scienza. E l’obbiettivo della scienza è il progresso e il miglioramento dell’uomo. Si maraviglia come si studi a migliorare la razza cavallina o bovina, e si lasci al caso e al capriccio individuale la razza umana. Egli ha fede nel miglioramento non solo morale, ma fisico dell’uomo, per mezzo della scienza, applicata da un governo intelligente e paterno. E suggerisce provvedimenti sociali, politici, etici, economici, che sono un primo schizzo di scienza sociale nelle sue varie diramazioni ancora confuse, guidato da una rettitudine e buon senso naturale, con uno sguardo delle cose non nella loro degenerazione, «come fecero Aristotele e Machiavelli», ma nella loro origine e purezza natia, «come fecero Platone e gli stoici». E balzan fuori idee, utopie, ipotesi, speranze, aforismi, che sono in parte veri presentimenti e divinazioni del mondo nuovo.

Con tante novitá in capo, la societá in mezzo a cui si trovava non gli dovea parere una bella cosa. Accetta le istituzioni, ma a patto che le si trasformino e diventino istrumento di rigenerazione. Vuole un papato ed un monarcato progressista; ed è chiaro che a Filippo di Spagna poco garbasse trar di prigione un cosi pericoloso alleato, un nuovo marchese di Posa.


F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - ii.

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