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xiii - l’«orlando furioso» 15


E ciò che la rendeva seria non era alcun sentimento religioso o morale 0 patriottico, di cui non era piú alcun vestigio nell’arte, ma il puro sentimento dell’arte, il bisogno di realizzare i suoi fantasmi. Ci è ne’ suoi fini il desiderio un po’ di secondare il gusto del secolo e toccare tutte le corde che gli erano gradite, un po’ di tessere la storia o piuttosto il panegirico di casa d’Este. Ma sono fini che rimangono accessorii, naufragati e dimenticati nella vasta tela. Ciò che lo anima e lo preoccupa è un sentimento superiore, che è per lui fede, moralitá e tutto; ed è il culto della bella forma, la schietta ispirazione artistica. E lo vedi mutare e rimutare, finché non abbia dato alle sue creazioni l’ultima forma che lo contenti. Da questa serietá e genialitá di lavoro usci l’epopea del Rinascimento, il tempio consacrato alla sola divinitá riverita ancora in Italia: l’Arte.

Ludovico e Dante furono i due vessilliferi di opposta civiltá. Posti l’uno e l’altro tra due secoli, prenunziati da astri minori, furono le sintesi in cui si compí e si chiuse il tempo loro. In Dante finisce il medio evo : in Ludovico finisce il Rinascimento.

Ritratto tutti e due della loro etá. Dante fu piú poeta che artista: all’artista nocquero la scolastica, l’allegoria, l’ascetismo e la stessa grandezza ed energia dell’uomo. Ci era nella sua coscienza un mondo reale troppo vivo e appassionato e resistente, perché l’arte potesse dissolverlo e trasformarlo. E quel mondo reale era involuto in forme cosí dense e fisse, che il suo sguardo profondo non potè sempre penetrarvi e attingerlo nel suo immediato.

Tutto questo mondo è giá sciolto innanzi a Ludovico, nella sua realtá e nelle sue forme. È sciolto per un lavoro anteriore, al quale egli non ha partecipato. Giá nel Petrarca spunta l’artista, che si foggia il mondo del suo cuore, e se lo compone e atteggia come pittore, e ci crede e ci si appassiona e ne sente i tormenti e le gioie. Giá nel Boccaccio l’arte si trastulla a spese di quella realtá e di quelle forme. Giá su quel mondo è passato il ghigno di Lorenzo e il riso beffardo del Pulci, e giá, vóto il tempio, è surta sugli altari la nuova divinitá annunziata