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albergare con loro la invitino, e, non valendo la cortesia, vogliano usare le forze e per ben suo, mal suo grado, con violenzia l’arrestino.


Con questi criteri non è maraviglia che, a lungo andare, si sia giunto a tale, che un predicatore componeva i suoi periodi a suon di musica. E si comprende anche che lo Speroni fabbricasse a questo modo i suoi periodi, e quanta ammirazione dovessero destare i periodi, con tanto artificio congegnati, del Bembo, del Casa o del Castiglione. La parola ebbe una sua personalitá: fu isolata dalla cosa; e ci furono parole pure e impure, belle e brutte, aspre e dolci, nobili e plebee. Nella scelta delle parole stava il segreto della eleganza. Si cercava non la parola propria, ma la parola ornata o la perifrasi. La ripetizione era peccato mortale; e, se la cosa era la stessa, dovea cercarsi una diversa parola, tacere i nomi propri, e «ogni cosa delle altrui voci adornare», come lo Speroni nota del Petrarca, il quale chiamò «la testa ‘oro fino’ e ‘tetto d’oro’; gli occhi ‘soli’, ‘stelle’ ‘zaffiri’, ‘nido e albergo d’amore’; le guance or ‘neve e rose’, or ‘latte e foco’; ‘rubini’ i labbri, ‘perle’ i denti; la gola, il petto ora ‘avorio’, ora ‘alabastro’». Una lingua viva è sempre propria, perché la parola ti esce insieme con la cosa: una lingua morta è necessariamente impropria, perché la trovi ne’ dizionari e negli scrittori bella e fatta, mutilata di tutti quegli accessori che il popolo vi aggiungeva e che determinavano il suo significato e il suo colore. Cosi la nostra lingua, giunta a un alto grado di perfezione, che pure allora nella Eneide del Caro e nel Tacito del Davanzati mostrava la sua potenza, si arrestò nel suo sviluppo, a quel modo che la vita italiana; e disputavano come si avesse a chiamare, o «toscana» o «fiorentina» o «italiana», quando era giá bella e imbalsamata, ben rinchiusa e coperchiata nel dizionario della Crusca.

Il medesimo era della grammatica. Si cercò il criterio non nella natura e nel significato delle cose e non nella logica necessitá, ma nell’uso variabilissimo degli scrittori. Indi regole arbitrarie e piú arbitrarie eccezioni, e quella folla di significati attribuiti a una sola parola, e tante inutilitá decorate col nome


F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - ii.

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