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Questo è il mondo che vien fuori in un legame artificiale e meccanico, delle cui fila interrotte nessuno si cura, perché la giostra non è il motivo di questo mondo, è la semplice occasione. La sua unitá non è in un’azione frivola e incompiuta, debole trama. La sua unitá è in se stesso, nello spirito che lo move, ed è quel vivo sentimento della natura e della bellezza che dal Boccaccio in qua è il mondo della coltura.

La primavera, la notte, la vita rustica, la caccia, la casa di Venere, il giardino d’ Amore, gl’ intagli, non sono giá episodi : sono questo mondo esso medesimo nella sua sostanza, animato da un solo soffio. Sono l’apoteosi di Venere e d’Amore, della bella natura, la nuova divinitá.

E la natura non ha giá quel vago che ti fa pensoso e ti tiene in una dolce malinconia; non sei nel regno de’ misteri e delle ombre, nel regno musicale del sentimento: sei nel regno dell’ immaginazione. Venere è nuda, Iside ha alzato il velo. Non hai piú gli schizzi di Dante, hai i quadri del Boccaccio; non hai piú la faccia di Giotto, hai la figura del Perugino; non hai piú il terzetto nel suo raccoglimento, hai l’ottava rima nella sua espansione. Ci è quel sentimento idillico e sensuale che ispirò il Boccaccio, e di cui senti la fragranza nella Lepidina e nel Rusticus: l’anima sta come rilassata in dolce riposo, non fantasticando ma figurando parte a parte e disegnando, quasi voglia assaporare goccia a goccia i suoi piaceri. E non è la descrizione minuta, anatomica, spesso ottusa, del Boccaccio; ché, mentre la natura ti si offre distinta come un bel paesaggio, non sai onde o come ti giungono mormorii, concenti, note, come la voce di una divinitá nascosta nel suo grembo. La sensualitá, filtrata fra tanta dolcezza di note, lascia in fondo la sua parte grossolana ed esce fuori purificata; e non è la musa civettuola del Boccaccio : è la casta musa del Parnaso, che copre la sua nuditá e vi gitta sopra il suo manto verginale. Nel Boccaccio è la carne che accende l’ immaginazione: nel Poliziano l’ immaginazione è come un crogiuolo, dove l’oro si affina. La sensuale e volgare Griseida si spoglia in quel crogiuolo la sua parte terrea e diviene la gentile Simonetta : bellezza nuda,

23 — F. de San’ctis, Storia della letteratura italiana - 1.