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E quando muore il Boccaccio, «copioso fonte di eleganze», esclama :
Ora è mancata ogni poesia, e vòte son le case di Parnaso...
S’ io piango o grido, che miraeoi fia, pensando che un sol c’era rimaso,
Giovan Boccacci: ora è di vita fore?...
. . . Quel duol che mi pugne è che niun riman, né alcun viene, che dia segno di spene a confortar che io salute aspetti, perché in virtú non è chi si diletti...
Sará virtú giá mai piú in altrui,
o stará quanto medicina ascosta,
quando anni cinquecento perdé il corso?...
Chi fia in quella etate,
forse vedrá rinascer tal semenza;
ma io ho pur temenza,
che prima non risuoni l’alta tromba,
che si fará sentir per ogni tomba...
Ne’ numeri ciascuno ha mente pronta, dove moltiplicando s’apparecchia sempre tirare a sé con la man destra...
E le meccaniche arti
abbraccia chi vuol esser degno ed alto...
Ben veggio giovinetti assai salire non con virtú, perché la curan poco, ma tutto adopran in corporea vesta : . . .
. . . giá mai non cercan loco dove si faccia delle muse festa...
Come deggio sperar che surga Dante, che giá chi il sappia legger non si trova? e Giovanni, che è morto, ne fe’ scola...
Tutte le profezie, che disson sempre tra il Sessanta e l’Ottanta esser il mondo pieno di svari e fortunosi giorni, vidon che si dovean perder le tempre di ciascun valoroso e gire al fondo.