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Il sonetto comincia bene, in forma disinvolta e fresca, ancoraché per la parte tecnica un po’ trascurata. In quelle giovanette, che cantano a mare e vanno a visitare le amiche e sono ammirate dalla gente, vedi una scena tutta napolitana, e ti corre innanzi Baia, sede di secrete delizie che destano le furie gelose del poeta 1 . Ma questa bella scena alla fine si guasta, col solito «spirito» e col solito «Amore vago di commendare», e riesce in una freddura. Chi vuol vedere un sonetto affatto moderno, dove l’autore si è sciolto da ogni involucro artificiale e ti coglie in atto la vita di Baia con le sue soavitá e le sue licenze, senta questo:

Intorno ad una fonte, in un pratello di verdi erbette pieno e di bei fiori, sedeano tre angiolette, i loro amori forse narrando; ed a ciascuna il bello viso adombrava un verde ramoscello che i capei d’ òr cingea, al qual di fuori e dentro insieme i dua vaghi colori avvolgeva un soave venticello.

E dopo alquanto l’una alle due disse, com’ io udii: — Deh! se per avventura di ciascuna l’amante or qui venisse, fuggiremo noi quinci per paura? —

A cui le due risposer: — Chi fuggisse, poco savia saria con tal ventura. —

Qui senti il Boccaccio in quella sua mescolanza di sensuale e malizioso. Gli scherzi del venticello sono abbozzati con l’anima di un satiro che divora con gli occhi la preda, e la chiusa cinica cosi inaspettata ti toglie a ogni idealitá e ti gitta nel comico. Qui il Boccaccio trova se stesso. Fu chiamato «Giovanni della tranquillitá» per quella sua spensierata giovialitá, che lo tenea lontano da ogni esagerazione delle passioni e tiravaio nel godimento e nel gusto della vita reale. E quantunque si doglia

1 «Perir possa il tuo nome, Baia, e il loco» (sonetto iv).