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piango lei, ma piango me, che honne perduto tanto bene. Non potevo fare maggiore perdita, e tu ’l sai... Della mamma si vole fare allegrezza e festa, quanto eh’ è per lei; ma di quelli suoi e di quelle, che sono rimasi in questa misera vita, ène da piagnere e da avere compassione grandissima. Con veruna persona mi so dare dolore quanto che con teco, che mi fusti cagione d’acquistare tanto bene. Prendo alcuno conforto, perché nel mio cuore ène rimasa e incarnata la mamma nostra assai piú che non era in prima; e ora me la pare bene conoscere. Ché noi miseri n’avevamo tanta copia, che non la conoscevamo e non savamo degni della sua presenzia... Carissimo fratello, io son fatto tanto ismemoriato del bene che hone perduto, che io ti scrivo anfanando. E però di ciò non ti scrivo piú.

Lo stesso stile è in Giovanni dalle Celle, Stefano Maconi e altri frati. Ecco in che modo commovente e semplice sono raccontati alcuni particolari della fine di Caterina:

Nella domenica di sessagesima svenne e perdé il vigore di sanitá, mantenutole dalla forza dello spirito e che non pareva scemarsi per inedia. Il di poi, un altro svenimento la lasciò lungamente come morta: se non che, risentitasi, stette in piedi come se nulla fosse. Cominciò la quaresima colle solite pratiche, esercizio a lei di consolazioni angosciose. Ogni mattina, dopo la comunione, le è forza rimettersi sfinita a letto. Di li a due ore usciva a San Pietro un buon miglio di strada, e li stava orando infino a vespro. Cosi fino alla terza domenica di quaresima, quando il male la spossò. E per otto settimane giacque senza potere alzare il capo, tutta dolori. A ogni nuovo spasimo, alzando gli occhi, ne ringraziava Dio lieta. Alla domenica innanzi l’Ascensione, il corpo non era ornai piú che uno scheletro; dal mezzo in giú senza moto, ma nel volto raggiante la vita. Debole; un alito di respiro; pareva in fine; e le fu data l’estrema unzione.

Questa eccellenza di dettato trovi pure ne’ volgarizzamenti de’ classici o di romanzi e storie allora in voga, come sono i volgarizzamenti di Livio e di Sallustio, i Fatti di Enea, gli Ammaestramenti degli antichi, voltati da Bartolomeo da San Concordio con un nerbo ed una vigoria degna del traduttore di Sallustio. È una prosa adulta, spedita, calda, immaginosa, spesso