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iv - la prosa | 77 |
rettorica; ser Brunetto traduceva il trattato De inventione di Cicerone e parecchie orazioni di Sallustio e di Livio, e sotto nome di Fiore di filosofi e di molti savi raccoglieva i detti e i fatti degli antichi filosofi, Pitagora, Democrito, Socrate, Epicuro, Teofrasto, e di uomini illustri, come Papirio, Catone. Ecco i «fiori» di Plato:
Plato fue grandissimo savio i e cortese, in parole, e disse queste sentenzie:
In amistade né in fede non ricevere uomo folle: piú leggermente si passa l’odio de’ folli e de’ malvagi che la loro compagnia.
A neuno uomo ti fare troppo compagno. L’uomo è troppo cosa singulare; non puote sofferire suo pare, de’ suoi maggiori hae invidia, de’ suoi minori hae disdegno, a’ suoi iguali non leggeremente s’accorda.
Quelli sono pessimi e maliziosi minici, che sono nella fronte allegri e nel cuore tristi.
Secondo la rettorica di quel tempo si diceva «fiore» quel raccogliere il meglio degli antichi e offrirlo al pubblico come un bel mazzetto. E si diceva anche «giardino», come spiegava Bono Giamboni|Bono Giamboni nel suo Giardino di consolazione, versione del latino: «e chiamasi questo Giardino di consolazione, imperò che, siccome nel giardino altri si consola e trova molti fiori e frutti, cosí in questa opera si trovano molti e begli detti, li quali l’anima del divoto leggitore indolcirá e consolerá». In effetti questo bel libro, dov’è molta semplicitá e grazia di dettato, è una descrizione de’ vizi e delle virtú, con sopra ciascuna materia i detti de’ savi e de’ santi padri, tanto che si può veramente dire dell’autore: «il piú bel fior ne colse». Ecco il capitolo dell’Ebrietade: