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xi - le «stanze» 359


idealizzata. Tra le sue piú ammirate descrizioni è quella dell’etá dell’oro, dove è patente questo difetto. Vedi l’uomo in villa che tutto osserva, e anima con l’immaginazione la natura senza averne il sentimento. Ci è l’osservatore, manca l’artista.

Bella e parimente sazievole è la descrizione degli effetti che gli occhi della sua donna producono sulla natura. La soverchia esattezza nuoce all’illusione e addormenta l’immaginazione. Veggasi questa ottava:

                                    Siccome il cacciator ch’i cari figli
astutamente al fero tigre fura;
e benché innanzi assai campo gli pigli,
la fera, piú veloce di natura,
quasi giá il giunge e insanguina gli artigli;
ma, veggendo la sua propria figura
nello specchio che trova su la rena,
crede sia ’l figlio e ’l corso suo raffrena.
     

Ci si vede un uomo che in un fatto cosí pieno di concitazione rimane tranquillo in uno stato prosaico, e osserva e spiega il fenomeno e Io rende con evidenza, ma non ne riproduce il sentimento: c’è l’esattezza, manca il calore e l’armonia. Veggasi ora l’artista, il Poliziano:

                                    Qual tigre, a cui dalla pietrosa tana
ha tolto il cacciator gli suoi car figli,
rabbiosa il segue per la selva ircana,
che tosto crede insanguinar gli artigli:
poi resta d’uno specchio all’ombra vana,
all’ombra ch’e’ suo’ nati par somigli;
e mentre di tal vista s’innamora
la sciocca, el predator la via divora.
     

Anche Lorenzo descrive le rose, come fa il Poliziano; ma si paragoni. Ciò, che in Lorenzo è naturalismo, è idealitá nel Poliziano, Nell’uno è il di fuori abbellito dall’immaginazione; l’altro nel di fuori ti fa sentire il di dentro. Lorenzo dice:

                                    Eranvi rose candide e vermiglie:
alcuna a foglia a foglia al sol si spiega,
stretta prima, poi par s’apra e scompiglie: