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xi - le «stanze» 347


miracolo, cioè a dire come una macchina del maraviglioso, a quel modo che è la fortuna nelle novelle del Boccaccio. Il motivo drammatico è l’effetto che fanno sugli spettatori certe grandi mutazioni e improvvise nello stato de’ personaggi, morale o materiale: perciò non gradazioni, non ombre, non sfumature; i contorni sono chiari e decisi; l’azione è tutta esteriore e superficiale, e si ferma solo quando una mutazione improvvisa provoca esplosioni liriche di gioia, di dolore, di maraviglia. Ci è quella lirica superficiale e quella chiarezza epica che è propria del Boccaccio. La lirica è sacra di nome, e non ha quell’elevazione dell’anima verso un mondo superiore, che senti in Dante o in Caterina: ci è la preghiera, non ce n’è il sentimento. L’azione è pedestre e borghese, di una prosaica chiarezza, non animata dal sentimento, non trasformata dall’immaginazione. È il mondo dantesco vestito alla borghese, i cui accenti di dolore sono elegia, le cui mistiche gioie sono idilli: mancato è il senso del terribile e del sublime, mancata è l’indignazione e l’invettiva: se alcuna serietá rimane ancora in queste spettacolose rappresentazioni, apparecchiate con tanta pompa di scene e di decorazioni, è reminiscenza ed eco di un mondo indebolito nella coscienza. Ci erano ancora le confraternite, che a grandi spese davano di queste rappresentazioni; ma i fratelli non erano piú i contemporanei di Dante, e non gli autori e non gli spettatori. Si andava alle rappresentazioni come alle feste carnascialesche: per sollazzarsi. E si sollazzavano, come si conviene a gente colta e artistica, co’ piaceri dello spirito e dell’immaginazione. Il mistero era per essi un piacevole esercizio dell’immaginazione, una ricreazione dello spirito. Con la coscienza vuota e con la vita tutta esterna e superficiale, il dramma era cosi poco possibile come la tragedia o l’eloquenza sacra, o come rifare la visione o la leggenda. Se quelle rappresentazioni fra tanto liscio e intonaco rimasero stazionarie e non poterono mai acquistare la serietá e profonditá di un vero mondo drammatico, fu perché mancò all’Italia un ingegno drammatico, come affermano alcuni, quasi l’ingegno fosse un frutto miracoloso, generato senza radici e venuto espressamente