Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1912 – BEIC 1806199.djvu/340

334 storia della letteratura italiana


E quando muore il Boccaccio, «copioso fonte di eleganze esclama:

                                         Ora è mancata ogni poesia,
e vòte son le case di Parnaso...
S’io piango o grido, che miraeoi fia,
pensando che un sol c’era rimaso,
Giovan Boccacci: ora è di vita foreP...
...Quel duol che mi pugne
è che niun riman, né alcun viene,
che dia segno di spene
a confortar che io salute aspetti,
perché in virtú non è chi si diletti...
Sará virtú giá mai piú in altrui,
o stará quanto medicina ascosta,
quando anni cinquecento perdé il corso?...
Chi fia in quella etate,
forse vedrá rinascer tal semenza;
ma io ho pur temenza,
che prima non risuoni l’alta tromba,
che si fará sentir per ogni tomba...
Ne’ numeri ciascuno ha mente pronta,
dove moltiplicando s’apparecchia
sempre tirare a sé con la man destra...
E le meccaniche arti
abbraccia chi vuol esser degno ed alto...
     Ben veggio giovinetti assai salire
non con virtú, perché la curan poco,
ma tutto adopron in corporea vesta:...
... giá mai non cercan loco
dove si faccia delle muse festa...
     Come deggio sperar che surga Dante,
che giá chi il sappia legger non si trova?
e Giovanni, che è morto, ne fe’ scola...
     Tutte le profezie, che disson sempre
tra il Sessanta e l’Ottanta esser il mondo
pieno di svari e fortunosi giorni,
vidon che si dovean perder le tempre
di ciascun valoroso e gire al fondo.