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fiorentino», e quelli che usavano il volgare dice che scrivevano in «latino volgare». Il tipo di perfezione era sempre il latino, e l’ideale vagheggiato dalla classe erudita era un volgare nobile o illustre, secondo quel modello configurato, un volgare alzato a quella stessa perfezione di forma. Questo tentò Dante nel Convito, con piena fede che il volgare fosse acconcio ad esprimere le piú gravi speculazioni della scienza non altrimenti che il latino; e quello scolastico «latino volgare» o «volgare latino», nudo e tutto ossa e nervi, parve per la prima volta magnificamente addobbato nelle larghe pieghe della toga romana. Ma la pece scolastica s’era appiccata anche a Dante, e quella barbarie delle scuole sta cosí, in quelle ampie forme, a disagio come un contadino vestito a festa in abito cittadinesco. Non ci è fusione: ci è punte e contrasti.

Il Boccaccio non era uscito dalle scuole e, quando piú tardi studiò filosofia e un po’ anche teologia, il suo spirito era giá formato nell’esperienza della vita comune, nell’uso del suo volgare e nello studio de’ classici. Come il Petrarca, ha in abbominio gli scolastici, ne’ quali vede proprio il contrario di quella elegante coltura greca e romana, vede la barbarie e la rozzezza. Regnano nel suo spirito, divinitá, Virgilio e Ovidio e Livio e Cicerone, e non ci è Bibbia che tenga, e non ci è san Tommaso. Quando vuol dipingere alcun lato serio, morale o scientifico, del suo mondo, la sua imitazione è un artificio esterno e meccanico, perché ha piú immaginazione che sentimento e piú intelletto che ragione. La sua forma è decorosa, nobile, spesso disimpacciata, ma troppo uguale e placida, e talora ti fa sonnecchiare. Il periodo è un rumor d’onde uniforme, mosse faticosamente da mare stanco e sonnolento. Manca l’ispirazione: supplisce la rettorica e la logica. Il che avviene perché il Boccaccio, separato dalle immagini e gittato nel vago del sentimento o nell’astratto del discorso, perde il piede e va giú. Tratta le idee come fossero corpi, e analizza e minuteggia che è uno sfinimento. Le idee sono luoghi comuni, annacquati in un viavai di piccoli e oziosi accessorii, distinzioni, riserve, condizioni, «se», «ma», «avvegnaché» e «conciossiacosaché». Uno studio soverchio di