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la cultura e l’umanitá. Ti vedi innanzi svilupparsi tutto il mondo della cultura, e cominciare da Atene ed in ultimo posare in Etruria, dove l’autore con giusto orgoglio pone il principio della nuova cultura. Da ultimo apparisce una luce una e trina, entro la quale guardando Ameto, Mopsa, «gli occhi asciugandoli, da quelli levò l’oscura caligine», sí che nella luce triforme ravvisa la celeste e santa Venere, madre di amore puro e intellettuale. Tuffato nella fonte da Lia, gittati i panni selvaggi e lavato di ogni lordura, si sente di bruto fatto uomo, e «vede chi sieno le ninfe, le quali piú all’occhio che all’intelletto erano piaciute, e ora all’intelletto piacciono piú che all’occhio; discerne quali sieno i tempi, quali le dèe di cui cantano e chenti sieno i loro amori; e un poco in sé si vergogna de’ concupiscevoli pensieri avuti». Le ninfe, le quali non sono altro che le scienze e le arti della vita civile, tornano alla celeste patria, e Ameto canta la sua redenzione dallo stato selvaggio.

Questo disegno evidentemente è uscito da una testa giovanile, ancora sotto l’azione di tutti i diversi elementi di quella cultura. Palpabili sono le reminiscenze della Divina commedia. Lia e Fiammetta ricordano Matilde e Beatrice. Il concetto nella sua sostanza è dantesco: è l’emancipazione dell’uomo, il quale, percorse le vie del senso o dell’amore sensuale, è dalla scienza innalzato all’amore di Dio. Anche la forma allegorica è dantesca, non essendo quelle apparizioni che simboli di concetti e figure di quelle separate intelligenze che presiedono alle stelle e regolano i moti dell’animo. Tutto questo si trova inviluppato in un mondo mitologico, che è la sua negazione, animato da un naturalismo spinto sino alla licenza: Apuleio e Longo contendono con Dante nel cervello dello scrittore. Il romanzo, che nell’intenzione dovrebbe essere spirituale, è nel fatto soverchiato da un vivo sentimento della bella natura e de’ piaceri amorosi. Si vede il giovane, che sta con Dante in astratto, ma ha pieno il capo di mitologia, di romanzi greci e franceschi, di avventure licenziose, e fa di tutto una mescolanza. Se qualche cosa in questa noiosa lettura ti alletta, è dove lo scrittore si abbandona alla sua natura, com’è la comica descrizione che Acrimonia fa