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302 | storia della letteratura italiana |
Manca il rilievo: per soverchia naturalezza si casca nel triviale e nel volgare. Piú tardi verrá il grande artista, che calerá in questo mondo della natura e dell’amore appena sbozzato e pur ora uscito alla luce, e gli dará l’ultima e perfetta forma.
Simile di disegno ma in piú larghe proporzioni è il Ninfale d’Ameto. È il trionfo della natura e dell’amore sulla barbarie de’ tempi primitivi. E il barbaro qui non è la ninfa sacrata a Diana, che per violenza di natura rompe il voto; ma è il pastore abitatore della foresta co’ fauni e le driadi, che, scendendo al piano, lascia l’alpina feritá e prende abito civile. Il luogo della scena comincia in Fiesole, negli antichissimi tempi detta Corito, quando vi abitavano le ninfe e non era venuto ancora Atalante a cacciarle via e introdurvi costumi umani. Cosí l’Ameto si collega col Ninfale fiesolano. Il pastore Ameto erra e caccia su pel monte e per la selva, quando un dí affaticato giunge co’ suoi cani al piano, presso il Mugnone; e riposando e trastullandosi co’ cani, gli giunge all’orecchio un dolce canto, e guidato dalla melodia scopre piú giovanette intorno alla bellissima Lia. Sono ninfe non sacrate a Diana, ma a Venere. Lia racconta nella sua canzone la storia di Narciso, «bellissimo e crudo cacciatore», che, rifiutando il caro amore delle donne e innamorato della sua immagine, fu convertito in fiore. Ameto parte pensoso, recando seco l’immagine di Lia. Venuta la primavera, torna al piano, e cerca e chiama Lia, descrivendo la sua bellezza e offrendole doni:
Tu se’ lucente e chiara piú che il vetro |