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294 storia della letteratura italiana


Il sonetto comincia bene, in forma disinvolta e fresca, ancoraché per la parte tecnica un po’ trascurata. In quelle giovanette, che cantano a mare e vanno a visitare le amiche e sono ammirate dalla gente, vedi una scena tutta napolitana, e ti corre innanzi Baia, sede di secrete delizie che destano le furie gelose del poeta1. Ma questa bella scena alla fine si guasta, col solito «spirito» e col solito «Amore vago di commendare», e riesce in una freddura. Chi vuol vedere un sonetto affatto moderno, dove l’autore si è sciolto da ogni involucro artificiale e ti coglie in atto la vita di Baia con le sue soavitá e le sue licenze, senta questo:

                                         Intorno ad una fonte, in un pratello
di verdi erbette pieno e di bei fiori,
sedeano tre angiolette, i loro amori
forse narrando; ed a ciascuna il bello
     viso adombrava un verde ramoscello
che i capei d’òr cingea, al qual di fuor
e dentro insieme i dua vaghi colori
avvolgeva un soave venticello.
     E dopo alquanto l’una alle due disse,
com’io udii: — Deh! se per avventura
di ciascuna l’amante or qui venisse,
     fuggiremo noi quinci per paura? —
A cui le due risposer: — Chi fuggisse,
poco savia saria con tal ventura. —
     

Qui senti il Boccaccio in quella sua mescolanza di sensuale e malizioso. Gli scherzi del venticello sono abbozzati con l’anima di un satiro che divora con gli occhi la preda, e la chiusa cinica cosi inaspettata ti toglie a ogni idealitá e ti gitta nel comico. Qui il Boccaccio trova se stesso. Fu chiamato «Giovanni della tranquillitá» per quella sua spensierata giovialitá, che lo tenea lontano da ogni esagerazione delle passioni e tiravaio nel godimento e nel gusto della vita reale. E quantunque si doglia



  1. «Perir possa il tuo nome, Baia, e il loco» (sonetto iv).