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succede il tripudio del corpo. La reazione è compiuta. A Dante succede il Boccaccio.

La contraddizione prende quasi aria di parodia inconscia nell’Amorosa visione. La Commedia è imitata nel suo disegno e nel suo meccanismo. Anche il Boccaccio ha la sua visione. Anch’egli incontra la bella donna, che dee guidarlo all’altura, che è «principio e cagion di tutta gioia», via a salute e pace. Ma, dove nella Commedia si va di carne a spirito, sino al sommo bene, in cui l’umano è compiutamente divinizzato o spiritualizzato; dove nella Commedia il sommo bene è scienza e contemplazione: qui il fine della vita è l’umano, e la scienza è il principio, e l’ultimo termine è l’amore, e la fine del sogno è in questi versi:

     Tutto stordito mi riscossi allora,
e strinsi a me le braccia, e mi credea
infra esse madonna avervi ancora.

Il paradiso del Boccaccio è un tempio dell’umanitá, un «nobile castello», che ricorda il limbo dantesco, ricco di sale splendide e storiate, come sono le pareti del purgatorio. Ed è tutta la storia umana che ti viene innanzi in quelle pitture. Dante invoca le muse, l’alto ingegno; il Boccaccio invoca Venere:

     O somma e graziosa intelligenza
che muovi il terzo cielo, o santa dea,
metti nel petto mio la tua potenza.

Una scala assai stretta mena al castello, e sulla piccola porta è questa scritta:

                                             ...questa
picciola porta mena a via di vita,
posta che paia nel salir molesta:
     riposo eterno dá cotal salita.
Dunque salite su senza esser lenti:
l’animo vinca la carne impigrita.

Eccoci nella prima sala. E vi son pinte le sette scienze, e via via schiere di filosofi e poi di poeti, a quel modo che fa