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la stoffa da cui uscí il Decamerone. Nessuna originalitá e profonditá di pensiero, nessuna sottigliezza di argomentazione; tutto vi è dimostrato, anche le piú comuni veritá: ma il fondamento della dimostrazione non è nell’intelletto, è nella memoria; non hai innanzi un pensatore né un disputatore, ma un erudito. Vuol mostrare l’ingratitudine di Firenze verso Dante, ed ecco uscir fuori Solone, «il cui petto uno umano tempio di divina sapienza fu reputato», e la Siria, la Macedonia, la greca e la romana repubblica, e Atene, e Argo, e Smirne, e Pilos, e Chios, e Colofon, e Mantova, e Sulmona, e Venosa, e Aquino. «Tu sola — conchiude il poeta — quasi i Cammilli, i Pubblicoli, i Torquati, i Fabrizi, i Catoni, i Fabi e gli Scipioni... in te fussero,... avendoti lasciato il tuo antico cittadino Claudiano cader delle mani, non hai avuto del presente poeta cura, ma l’hai da te scacciato, sbandito e privatolo, se tu avessi potuto, del tuo soprannome». Volendo parlar di Dante, comincia ab ovo, dalla prima fondazione di Firenze: spesso lascia lí Dante ed esce in lunghe digressioni, tra le quali è notabile quella sulla natura della poesia. Secondo lui, il linguaggio poetico fu trovato per porgere «sagrate lusinghe» alla divinitá, con parole lontane «da ogni altro plebeo e pubblico stilo di parlare» e «sotto legge di certi numeri composte, per li quali alcuna dolcezza si sentisse e cacciassesi il rincrescimento e la noia». I poeti imitarono «le vestigie dello Spirito santo»: perché, come nella divina Scrittura, «la quale noi ‘teologia’ appelliamo, quando con figura di alcuna istoria, quando col senso di alcuna visione», si mostra l’«alto misterio della Incarnazione del Verbo divino, la vita di quello, le cose occorse nella sua morte e la resurrezione vittoriosa...; cosí li poeti..., quando con fizioni di vari iddii, quando con trasmutazioni di uomini in varie forme e quando con leggiadre persuasioni, ne mostrano le cagioni delle cose, gli effetti delle virtú e de’ vizi». Poi spiega ciò che lo Spirito santo volle mostrare nel rogo di Mosé, nella visione di Nabuccodonosor, nelle lamentazioni di Geremia; e ciò che i poeti vollero mostrare in Saturno, Giove, Giunone, Nettuno e Plutone e nelle trasformazioni di Ercole in dio e di Licaone in lupo, e nella bellezza degli Elisi e nell’oscuritá di