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228 | storia della letteratura italiana |
Come l’augello, intra l’amate fronde, posato al nido de’ suoi dolci nati, la notte che le cose ci nasconde, che, per veder gli aspetti desiati e per trovar lo cibo onde gli pasca, in che i gravi labor gli sono grati, previene ’l tempo in su l’aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando, pur che l’alba nasca...1. ... Come orologio che ne chiami nell’ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l’ami; che l’una parte l’altra tira ed urge, «tin tin» sonando con si dolce nota, che ’l ben disposto spirto d’amor turge...2 .... e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave3. Qual lodoletta, che in aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta dell’ultima dolcezza che la sazia...4. Pareva a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse. Per entro sé l’eterna margherita ne ricevette, com’acqua recepe raggio di luce, rimanendo unita5. Si come schiera d’api, che s’infiora una fiata, ed una si ritorna lá dove suo lavoro s’insapora...6. |