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Le anime compariscono a gruppi e cantano salmi e inni; espressione varia di dolore, di speranza, di preghiera, di letizia, di lodi al Signore. Quando giungono al purgatorio, le odi cantare: «In exitu Isräel de Aegypto». Giungono nella valle, ed ecco intonare il «Salve Regina». La sera odi l’inno: «Te lucis ante terminum Rerum creator poscimus». Entrando nel purgatorio, risuona il «Te Deum». Sono i salmi e gl’inni della Chiesa, cantati secondo le varie occasioni, e di cui il poeta dice le prime parole. Ti par d’essere in chiesa e udir cantare i fedeli. Quei canti latini erano allora nella bocca di tutti, erano cantati da tutti in chiesa; il primo verso bastava a ricordarli. Il poeta ha creduto bastar questo ad accendere ne’ petti l’entusiasmo religioso. E forse bastava allora, quando quei versi suscitavano tante rimembranze e immagini della vita religiosa. La poesia qui non è nella rappresentazione, ma in quei lettori e in quei tempi. Un nome, una parola basta in certi tempi a produrre tutto l’effetto: con quei tempi se ne va la loro poesia, e restano cosa morta. Molte parti del poema dantesco, aride liste di nomi e di fatti, soprattutto le allusioni politiche, allora cosí vive, oggi son morte. E tutta questa lirica del purgatorio è cosa morta. Perché Dante non crea dal suo seno quei sentimenti, ma li trova belli e scritti nei canti latini, e si contenta di dirne le prime parole. Pure, la situazione delle anime purganti è altamente lirica; la loro personalitá non è individuale ma collettiva, e l’espresione di quella comune anima svegliatasi in loro è l’onda canora de’ sentimenti. Qui mancò la vena e la forza al gran poeta, e si rimise a Davide di quello ch’era suo compito. Piú che visioni e simboli e dipinti, la vita del purgatorio era questa effusione lirica di dolore, di speranza, di amore, di quell’incendio interiore che rende le anime affettuose, concordi in uno stesso spirito di caritá. Ha saputo cosí ben dipingerle queste anime ardenti, che s’incontrano, si baciano e vanno innanzi, tirate su verso il cielo!

                                         Li veggio d’ogni parte farsi presta
ciascun’ombra, e baciarsi una con una,
senza ristar, contente a breve festa.