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vii - la «commedia» 211


                                         Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci ed or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.
     

Una delle figure piú interessanti è Adriano. All’ultimo della grandezza dice:

                                         Vidi che li non si quetava ’l core,
né piú salir poteasi in quella vita;
per che di questa in me s’accese amore.
     
Questo papa disilluso ha lunga e mala parentela, e sono tutti morti per lui, eccetto la buona Alagia:
                                    E questa sola m’è di lá rimasa.      
Quest’ultimo verso è pregno di malinconia.

Questa calma filosofica, che fa guardare dall’alto del purgatorio la vita e ne scopre il vano e il nulla, restringe il circolo della personalitá e della realtá terrena. Gli individui appariscono e spariscono, appena disegnati; hanno la bellezza, ma anche la monotonia e l’immobilitá della calma. Sono uomini che discutono e conversano in una sala, piú che uomini agitati e appassionati. I grandi individui storici, le grandi creature della fantasia scompariscono.

Piú che negli individui, la vita si manifesta nei gruppi: la vita qui è meno individuo che genere. La comune anima ha la sua espressione nel canto. Nell’inferno non ci son cori, perché non vi è l’unitá dell’amore. L’odio è solitario; l’amore è simpatia e armonia; la musica e il canto conseguono i loro effetti nella misurata varietá delle voci e degl’istrumenti. Qui le anime sono esseri musicali, che escono dalla loro coscienza individuale, assorte in uno stesso spirito di caritá:

                                    Una parola in tutte era ed un modo,
si che parea tra esse ogni concordia.