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sua lunga barba, in quella calma e gravitá della sua decorosa vecchiezza:

                                         degno di tanta reverenza in vista,
che piú non dee a padre alcun figliuolo.
     

Ma è qualcosa di pili: è il savio battezzato e santificato, con la fronte radiante, illuminata dalla grazia, si che pare un sole. Virgilio non comprende questo savio cristianizzato, e parla al Catone di sua conoscenza, ricordando la sua virtú, la sua morte per la libertá, la sua Marzia. E il nuovo Catone risponde: — Marzia, che piacque tanto agli occhi miei, non mi move piú; ma, se Donna del cielo ti guida, non ci è mestier lusinga:

                                         basta ben che per lei tu mi richegge. —      

Che cosa è il Purgatorio? È il mondo dove questo doppio ideale è realizzato: il mondo di Catone o della libertá, dove lo spirito si sviluppa dalla carne e cerca la sua libertá:

                                         Libertá va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
     

Altro concetto, altra natura, altro uomo, altra forma, altro stile. Non è piú l’Iliade: è l’Odissea, è un nuovo poema. Paragonare Inferno e Purgatorio, e maravigliarsi che qui non sieno le bellezze ammirate colá, gli è come maravigliarsi che il purgatorio sia purgatorio e non inferno. O se pur vogliamo maravigliarci di qualche cosa, maravigliamoci che il poeta abbia potuto cosí compiutamente dimenticare l’antico se stesso, le sue abitudini di concepire, di disporre, di colorire, e, seppellito in questo nuovo mondo, ricrearsi l’ingegno e la fantasia a quella immagine, e con tanta spontaneitá che pare non se ne accorga: obblio dell’anima nella cosa, il secreto della vita, dell’amore e del genio.

L’inferno è il regno della carne, che scende con costante regresso sino a Lucifero. Il purgatorio è il regno dello spirito, che sale di grado in grado sino al paradiso. È lá che si sviluppa il mistero, la commedia dell’anima, la quale dall’estremo del male