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vii - la «commedia» 201

a Dante il suo Tesoro, e Pier delle Vigne che gli raccomanda la sua memoria! Come ride quel giardino del peccato innanzi a Francesca! Col vivo sentimento della dolce vita, della bella natura, è accompagnato il sentimento della famiglia. Quel padre che cade supino udendo la morte del figlio; e Ugolino che, dannato a morire di fame, guarda nel viso a’ figliuoli; e Anselmuccio che gli domanda: — Che hai? — e Gaddo che gli dice: — Perché non mi aiuti? — sono scene solitarie della poesia italiana. Ciascuno è in una situazione appassionata. I sentimenti, spinti alla punta, idealizzano e ingrandiscono gli oggetti. Tutto è colossale, e tutto è naturale. E in mezzo torreggia Dante, il piú infernale, il piú vivente di tutti; pietoso, sdegnoso, gentile, crudele, sarcastico, vendicativo, feroce; col suo elevato sentimento morale, col suo culto della grandezza e della scienza anche nella colpa, col suo dispregio del vile e dell’ignobile; alto sopra tanta plebe; cosí ingegnoso nelle sue vendette, cosí eloquente nelle sue invettive.

Queste grandi figure, lá sul loro piedistallo rigide ed epiche come statue, attendono l’artista che le prenda per mano e le gitti nel tumulto della vita, e le faccia esseri drammatici. E l’artista non fu un italiano: fu Shakespeare.


vii

Chi vuole ora concepire il Purgatorio, si metta in quella etá della vita che le passioni si scoloriscono, e l’esperienza e il disinganno tolgono le illusioni, e, scemata la parte attiva e personale, l’uomo si sente generalizzare, si sente piú come genere che come individuo. Spettatore piú che attore, la vita si manifesta in lui non come azione ma come contemplazione artistica, filosofica, religiosa. In quella calma delle passioni e de’ sensi era posto l’ideale antico del savio, l’ideale nuovo del santo, fuso insieme in quel Catone, che Dante chiama nel Convito anima nobilissima e la piú perfetta immagine di Dio in terra. Catone è il savio antico, pinto come i filosofi, con quella