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vii - la «commedia» | 191 |
uomini e sono bestie; e qui è la pena: nella coscienza umana che loro è rimasta.
La forma estetica di questo mondo è la commedia, rappresentazione de’ difetti e de’ vizi. Fra tanta fiacchezza della personalitá, il grande uomo, l’individuo, è gittato nell’ombra, e vien sú il descrittivo, l’esterioritá. Nell’inferno tragico le descrizioni sono sobrie e rapide, l’interesse principale è negli attori che prendono la parola: qui è un gregge muto, visto da lontano. Virgilio dice a Dante: — Vedi lá Mirra, vedi Giasone, vedi Manto. — Appena è se qualche epiteto ti segna in fronte alcuno de’ piú grandi personaggi, come si fa di Giasone:
E per dolor non par lacrima spanda. |
Prima dite: «il canto di Francesca, di Farinata, di ser Brunetto Latini»; ora dite: «il canto de’ ladri, de’ falsari, de’ truffatori»: vi sono gruppi, non individui; vi è il descrittivo, manca il drammatico. Manca la grandezza negli attori e manca la pietá negli spettatori. La figura umana cosí torta, che il pianto degli occhi bagnava le natiche, cava a Dante lacrime; l’«homo sum» si sente colpito in lui: ma Virgilio lo sgrida:
...Ancor se’ tu degli altri sciocchi? |
Abbonda il descrittivo: l’immaginazione di Dante è cosí robusta, che, avendo a fare con oggetti cosí fuori della natura, non che sentirsi impacciata, pare che scherzi, con tanta facilitá e spontaneitá esprime le piú varie e strane attitudini: la fiamma parla come lingua d’uomo, le zanche piangono e fremono. Il piú grande sforzo dell’immaginazione umana è la trasformazione di uomini in bestie, nel canto ventesimoquinto, quantunque la soverchia minutezza generi sazietá.
Fra tanti gruppi sorge qua e lá alcuno individuo in cui si sviluppa con piú chiara coscienza il concetto di Malebolge. Un lato serio di questo concetto è lo spirito che varca il limite assegnatogli. Se la ragione potesse
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