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i - i siciliani 13


                                         facciome prode e dannaggio,
e diraggio:
— Vi’ corno
mal e bene aggio
piú che null’omo.
     

Cosí comincia una canzone Ruggieri Pugliese, tutta su questo andare; dove la rozzezza e la negligenza della forma esclude ogni serietá di lavoro: è una litania di antitesi racimolate qua e lá e messe insieme a casaccio.

I poeti siciliani di questo genere piú ammirati a quei tempi sono Guido delle Colonne e il notaio Iacopo da Lentino.

Guido, dottore o, come allora dicevasi, giudice, fu uomo dottissimo. Scrisse cronache e storie in latino, e voltò di greco in latino la Storia della caduta di Troia di Darete, una versione che fu poi recata parecchie volte in volgare. Un uomo par suo sdegna di scrivere nel comune volgare, e tende ad alzarsi, ad accostarsi alla maestá e gravitá del latino; si che meritò che Dante le sue canzoni chiamasse «tragiche», cioè del genere nobile e illustre. Ma la natura non lo avea fatto poeta, e la sua dottrina e il lungo uso di scrivere non valse che a fargli conseguire una perfezione tecnica della quale non era esempio avanti. Hai un periodo ben formato, molta arte di nessi e di passaggi, uno studio di armonia e di gravitá: artificio puramente letterario e a freddo. Manca il sentimento; supplisce l’acutezza e la dottrina, studiandosi di fare effetto con la peregrinitá d’immagini e concetti esagerati e raffinati, che parrebbero ridicoli se non fossero incastonati in una forma di grave e artificiosa apparenza. Ecco un esempio:

                                         Ancor che l’aigua1 per lo foco lasse
la sua grande freddura,
non cangerea natura,
se alcun vasello in mezzo non vi stasse;
     


  1. Acqua.