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vii - la «commedia» 177


poetiche. Perciò il brutto, cosí nella natura come nell’arte, ci sta con lo stesso dritto che il bello, e spesso con maggiori effetti, per la contraddizione che scoppia nell’anima del poeta. Il bello non è che se stesso: il brutto è se stesso e il suo contrario; ha nel suo grembo la contraddizione; perciò ha vita pivi ricca, piú feconda di situazioni drammatiche. Non è dunque maraviglia che il brutto riesca spesso nell’arte piú interessante e piú poetico. Mefistofele è piú interessante di Fausto, e l’inferno è piú poetico del paradiso.

Dante concepisce l’inferno come la depravazione dell’anima, abbandonata alle sue forze naturali: passioni, voglie, istinti, desidèri, non governati dalla ragione o dall’intelletto; contraddizione ch’egli esprime con l’energia di uomo offeso nel suo senso morale:

                                                                       le genti dolorose,
c’hanno perduto ’l ben dell’intelletto...
che libito fe’ licito in sua legge...
che la ragion sommettono al talento...
     

L’anima è dannata in eterno per la sua eterna impenitenza; peccatrice in vita, peccatrice ancor nell’inferno, salvo che qui il peccato è non in fatto ma in desiderio. Onde nell’inferno la vita terrena è riprodotta tal quale, essendo il peccato ancor vivo e la terra ancora presente al dannato. Il che dá all’inferno una vita piena e corpulenta, la quale, spiritualizzandosi negli altri due mondi, diviene povera e monotona. Gli è come un andare dall’individuo alla specie e dalla specie al genere. Piú ci avanziamo, e piú l’individuo si scarna e si generalizza. Questa è certo perfezione cristiana e morale, ma non è perfezione artistica. L’arte come la natura è generatrice, e le sue creature sono individui, non specie o generi, non tipi o esemplari; sono res, non spceies rerum. Perciò l’inferno ha una vita piú ricca e piena, ed è de’ tre mondi il piú popolare. Aggiungi che la vita terrena o infernale è còlta dal poeta nel vivo stesso della realtá in mezzo a cui si trova, essendo essa la rappresentazione epica della barbarie, nella quale il rigoglio della passione e la sovrabbondanza della vita trabocca al di fuori. Dante stesso


F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - i.

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