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vi - il trecento 131


I soliti fenomeni delle rivoluzioni brutali e ingenerose sono da lui rappresentati con lo stesso accento di maraviglia, come di cose non viste mai, e svegliano nel suo animo onesto una indignazione eloquente. Ed è da questi sentimenti che è uscito questo capolavoro di descrizione:


Molti nelle rie opere divennero grandi, i quali avanti nominati non erano; e nelle crudeli opere regnando, cacciarono molti cittadini e fecionli ribelli e sbandeggiorono nell’avere e nella persona. Molte magioni guastorono, e molti ne puníano, secondo che tra loro era ordinato e scritto. Niuno ne campò che non fusse punito. Non valse parentado né amistá; né pena si potea minuire né cambiare a coloro a cui determinate erano. Nuovi matrimoni niente valsero; ciascuno amico divenne nimico; i fratelli abbandonavano l’un l’altro, il figliuolo il padre: ogni amore, ogni umanitá si spense... Patto, pietá né mercé in niuno mai si trovò. Chi piú dicea: — Moiano, moiano i traditori! — colui era il maggiore.


Tra’ proscritti fu Dante. Condannato in contumacia, non rivide piú la sua patria. Ira, vendetta, dolore, disdegno, ansietá pubbliche e private, tutte le passioni che possono covare ne! petto di un uomo lo accompagnarono nell’esilio. Chi ha visto l’indignazione di Dino può misurare quella di Dante.

II priorato fu il principio della sua rovina, com’egli dice, ma fu anche il principio della sua gloria. Non era uomo politico: mancavagli flessibilitá e arte di vita; era tutto un pezzo, come Dino. Priore, volle procurare una concordia impossibile, e non riusci che a farsi ingannare da’ Neri in Firenze e da Bonifazio in Roma. Esule, non valse a mantenere quella preminenza che era debita al suo ingegno e alla sua virtú: si lasciò soverchiare da’ piú audaci e arrischiati; e non potendo impedire e non volendo accettare molti disegni, si segregò e si fece parte per se stesso. Toltosi alle faccende pubbliche, ripiegatosi in sé, sviluppò tutte le sue forze intellettive e poetiche.

Dopo la morte di Beatrice erasi dato con tale ardore allo studio, che la vista ne fu debilitata. Finisce la Vita nuova con la speranza «di dire di lei quello che mai non fu detto d’alcuna».