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vi - il trecento 125


libro,... furono i principali alla distruzione della cittá». Povero Dino! e si affligge il brav’uomo e si pente, e «di quel saramento molte lacrime sparsi, pensando quante anime ne sono dannate per la loro malizia».

Carlo venne, e diètrogli, dicendo che vernano a onorare il signore, lucchesi, perugini, e Cante d’Agobbio e molti altri, a sei e dieci per volta, tutti avversari de’ Cerchi; e «ciascuno si mostrava amico». Dino fece il ponte d’oro al nemico che entra, contro il proverbio. E Carlo ebbe in Firenze milledugento cavalli. Che fa Dino? Sceglie quaranta cittadini di amendue le parti, perché provveggano alla salvezza della terra. Ciò che ci era negli animi è qui scolpito in pochi tratti:«Quelli che aveano reo proponimento non parlavano; gli altri aveano perduto il vigore. Baldino Falconieri, uomo vile, dicea: — Signori, io sto bene, perché non dormia sicuro». — Lapo Saltarelli, per riamicarsi il papa, ingiuria la Signoria e tiene in casa nascosto un confinato. Albertano del Giudice monta in ringhiera e biasima i signori. Pare coraggio civile, ed è viltá e diserzione. I nemici tacciono. Gli amici ingiuriano per farsi grazia. Cominciano i tradimenti:«I priori scrissono al papa segretamente; ma tutto seppe la parte nera, peroché quelli che giurarono credenza non la tennono».

Alfine Dino si risolve ad accomunare gli uffici, parlando «umilmente... con gran tenerezza dello scampo della cittá». Ma era troppo tardi. I Neri non volevano parte, ma tutto:


E Noffo Guidi parlò e disse: — Io dirò cosa che tu mi terrai crudele cittadino. — E io gli dissi che tacesse: e pur parlò, e fu di tanta arroganza, che mi domandò che mi piacesse far la loro parte, nell’ufficio, maggiore che l’altra; che tanto fu adire quanto: — Disfa’ l’altra parte, — e me porre in luogo di Giuda. E io li risposi che, innanzi io facessi tanto tradimento, darei i miei figliuoli a mangiare a’ cani.


Carlo volea in mano i signori, e li facea spesso invitare a mangiare. E quelli si ricusavano, adducendo che la legge li costringea che fare non lo potevano; ma era perché stimavano