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vi - il trecento 119


Il feroce e il grottesco delle pene infernali hanno qui un riscontro nelle immani crudeltá di Ezzelino e nella immane punizione.

Questo concetto morale, ancorché non ancora penetrato e sviluppato in tutti gli aspetti della vita, pure non è piú un motto, un proverbio, un ammaestramento, un «fabula docet», una esposizione didattica in prosa o in verso, come nel secolo scorso; ma la vita in atto, con tutt’i caratteri della personalitá, cosí nella vita contemplativa come nella vita attiva, cosí nel carbonaio del Passa vanti come nell’Ezzelino del Mussato. Onori straordinari furono conferiti al Mussato, tenuto pari a’ classici, quando i classici erano ancora cosí poco noti. Anche Venezia ebbe i suoi latinisti, che scrissero la sua storia: Andrea Dandolo e Martin Sanuto. Nell’Italia settentrionale abbondano le cronache latine. Il volgare vi si era poco sviluppato. E dappertutto teologia, filosofia, giurisprudenza, medicina era insegnata e trattata in latino. Scrissero le loro opere in questa lingua Marsilio da Padova, Cino da Pistoia, Bartolo e Baldo.

Ma in Toscana il Malespini avea giá dato l’esempio di scrivere la cronaca in volgare. E Dino Compagni segui l’esempio, scrivendo in volgare i fatti di Firenze dal i270 ai i3i2. Attore e spettatore, prende una viva partecipazione a quello che narra, e schizza con mano sicura immortali ritratti. Non è questa una cronaca, una semplice memoria di fatti: tutto si move, tutto è rappresentato e disegnato, costumi, passioni, luoghi, caratteri, intenzioni; e a tutto lo scrittore è presente, si mescola in tutto, esprime altamente le sue impressioni e i suoi giudizi. Cosi è uscita di sotto alla sua penna una storia indimenticabile.

Questa storia è una immane catastrofe, da lui preveduta e non potuta impedire. E non si accorge che di quella catastrofe cagione non ultima fu lui. O piuttosto ne ha un’oscura coscienza, quando con quel tale senno di poi dice: — Oh, se avessi saputo! Ma chi poteva pensare? — Ma Dino peccò per soverchia bontá d’animo; gli altri peccarono per malizia, e Dino li flagella a sangue. Era Bianco; ma piú che Bianco, era onesto uomo e patriota. Gli parea che que’ Neri e que’ Bianchi, quei Donati e quei Cerchi, non fossero divisi da altro che da gara