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storia della letteratura italiana |
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non vorrei gli facessimo paura;
eh ’oggidí le virtú non son richieste,
ma lassi onor a chi ha belle veste.
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L’anima, contrita e fortificata, alza un canto a Dio:
A te mi do, Signor clemente e pio,
e voglio a te servir tutt’i miei anni;
altro che te non bramo e non desio.
Io ho fuggito il mondo pien d’affanni,
dove si trova sol doglia e mestizia:
ben è infelice chi veste suo’ panni.
Ei mostra nel principio la letizia,
e di dover donar pace e riposo:
di poi non dá se non pianto e tristizia.
O mondo cieco, falso e tenebroso,
che hai tant’amator in questa vita,
e non mostri il velen ch’è drento ascoso,
per dolenti poi fargli alla partita.
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Colpita da grave infermitá dice:
Oh m’è venuto tanto male addosso,
che piú star ritta niente non posso.
Che vuol dir questo? e’ mi manca la vita.
Giesú Giesú, dolce Signore, aita.
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Intorno alla morente fanno l’ultima battaglia l’angiolo e il demonio. Gli argomenti dell’angiolo si possono ridurre in questi tre versi:
Umana cosa è cascar in errore,
e angelica cosa è il rilevarsi:...
sol diabolica cosa è star nel vizio.
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Dio accoglie l’anima e pronunzia il suo giudizio:
E quest’è la mia ultima sentenzia:
che la venghi a fruir la mia presenzia.
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E l’angiolo dice:
Partite tutti: la sentenz’è data:
sonate per dolcezza una calata.
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