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98 | storia della letteratura italiana |
non vorrei gli facessimo paura; eh ’oggidí le virtú non son richieste, ma lassi onor a chi ha belle veste. |
L’anima, contrita e fortificata, alza un canto a Dio:
A te mi do, Signor clemente e pio, e voglio a te servir tutt’i miei anni; altro che te non bramo e non desio. Io ho fuggito il mondo pien d’affanni, dove si trova sol doglia e mestizia: ben è infelice chi veste suo’ panni. Ei mostra nel principio la letizia, e di dover donar pace e riposo: di poi non dá se non pianto e tristizia. O mondo cieco, falso e tenebroso, che hai tant’amator in questa vita, e non mostri il velen ch’è drento ascoso, per dolenti poi fargli alla partita. |
Colpita da grave infermitá dice:
Oh m’è venuto tanta male addosso, che piú star ritta niente non posso. Che vuol dir questo? e’ mi manca la vita. Giesú Giesú, dolce Signore, aita. |
Intorno alla morente fanno l’ultima battaglia l’angiolo e il demonio. Gli argomenti dell’angiolo si possono ridurre in questi tre versi:
Umana cosa è cascar in errore, e angelica cosa è il rilevarsi:... sol diabolica cosa è star nel vizio. |
Dio accoglie l’anima e pronunzia il suo giudizio:
E quest’è la mia ultima sentenzia: che la venghi a fruir la mia presenzia. |
E l’angiolo dice:
Partite tutti: la sentenz’è data: sonate per dolcezza una calata. |